Ricorso per conflitto di attribuzione della Regione autonoma della Sardegna, in persona del presidente della giunta regionale pro tempore on. Mauro Pili, giusta deliberazione della giunta regionale dell'8 gennaio 2002, rappresentata e difesa - in virtu' di procura a margine del presente atto - dal prof. avv. Roberto Nania, presso il cui studio e' elettivamente domiciliata in Roma, via Carlo Poma n. 2; Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, a seguito e per l'effetto della sentenza del Tribunale di Cagliari, sezione I civile, n. 2598/01, pubblicata in data 3 dicembre 2001, sul ricorso numero RG. 5511/01, che ha disposto "l'illegittimita' dell'atto in data 31 maggio 2001 con il quale il consiglio regionale della Sardegna ha dichiarato la decadenza di Giovanni Paolo Nuvoli dalla carica di consigliere regionale della Regione Sardegna" stabilendo "pertanto che lo stesso Giovanni Paolo Nuvoli riveste tuttora la predetta carica"; Con istanza di conseguente annullamento dell'atto impugnato, previa sospensione dell'efficacia. F a t t o Mediante la delibera (illegittimamente) annullata dalla sentenza di cui in epigrafe, il consiglio regionale della Sardegna, su proposta della giunta per le elezioni - in ragione della sopravvenuta incompatibilita' di un proprio componente risultato eletto alla Camera dei deputati e della partecipazione di questi nella detta qualita' alle attivita' deliberative della Camera di appartenenza - ne stabiliva la decadenza da consigliere regionale. A seguito del ricorso avverso la menzionata delibera proposto dal consigliere decaduto, il Tribunale civile di Cagliari a mezzo della sentenza impugnata con il presente atto - illegittimamente invadendo, interferendo e/o menomando, come subito si vedra', le attribuzioni costituzionalmente riservate al consiglio regionale - annullava la delibera consiliare in oggetto, ripristinando il ricorrente nella carica di consigliere. D i r i t t o 1. - In primo luogo, si eccepisce la insussistenza del potere giurisdizionale (quale che ne possa essere l'organo giudicante che se ne arroghi l'esercizio) di conoscere ricorsi aventi ad oggetto la materia delle incompatibilita' e delle relative decadenze dei consiglieri regionali sardi, e segnatamente quelli che, come nella specie, si attengano alla specifica fattispecie di incompatibilita' concernente la contemporanea posizione di parlamentare ai sensi dell'art. 17, comma 2 dello statuto della Regione Sardegna e dell'art. 122, comma 2 della Costituzione. Che si tratti di materia sottratta alla cognizione del potere giurisdizionale dello Stato, siccome attribuita in via esclusiva al consiglio nel quadro dell'ordinamento costituzionale della Regione Sardegna, e' comprovato - ad avviso della ricorrente - sia dall'assenza in tale ordinamento di una qualunque disposizione di legge che riconosca, appunto, agli organi della giurisdizione la cognizione di gravami in tale materia, sia dalla pluralita' delle disposizioni regionali che al riguardo deferiscono ogni potere cognitivo al consiglio regionale sardo. Sotto il primo profilo, e' da rammentare che codesta Corte costituzionale, con la sentenza n. 85/1988, ha escluso in termini univoci che la normativa in tema di ineleggibilita' ed incompatibilita' di cui alla legge n. 154/1981, riguardante i consiglieri delle regioni ad autonomia ordinaria, fosse mai applicabile all'ordinamento sardo (essendo all'uopo indispensabile, in forza dello statuto, l'intervento di apposita legge statale, ed oggi regionale a seguito della legge costituzionale n. 2/2001). Ne deriva la conferma di quanto sopra dedotto, posto che egualmente inapplicabile all'ordinamento sardo deve ritenersi l'art. 7, comma sesto, della menzionata legge n. 154 (la' dove fosse ancora in vigore, nonostante la intervenuta abrogazione di tale legge da parte dell'articolo 274 della legge n. 267/2000), ossia la disposizione che prevede il ricorso giurisdizionale al tribunale competente per territorio contro le deliberazioni degli organi consiliari in punto di ineleggibilita' e di incompatibilita'. A fronte di cio' - passando ora al secondo degli elementi probatori preannunciati - l'art. 82 della legge regionale n. 7/1979 statuisce puntualmente che "al consiglio regionale e' riservata la convalida della elezione dei propri componenti. Esso pronuncia giudizio definitivo sulle contestazioni, le proteste e, in generale, su tutti i reclami"; per di piu', l'art. 17 del regolamento del consiglio regionale sardo sancisce che "alla giunta delle elezioni competono la verifica dei titoli di ammissione dei consiglieri e l'esame delle cause di ineleggibilita' e di incompatibilita', comprese quelle sopraggiunte nel corso della legislatura". Attesa la stretta correlazione sussistente tra le disposizioni appena menzionate e gli articoli 116, Cost., 17, comma 2, e 19, statuto, nonche' attesa la prassi consuetudinaria del tutto uniforme nel senso della intangibilita' delle decisioni consiliari in ordine alla incompatibilita' tra la posizione di parlamentare e di consigliere (cfr. a conferma, da ultimo, il caso del consigliere Serra), ne viene comprovato che nell'ambito dell'ordinamento sardo si e' affermata, ed e' operativa, una garanzia di grado autenticamente costituzionale deducibile dalle citate disposizioni, a mente della quale garanzia il carattere definitivo delle decisioni consiliari preclude ogni ulteriore intervento giurisdizionale in merito. Peraltro, gia' da tempo era stato messo efficacemente in luce in sede dottrinale tale dato di caratterizzazione dell'ordinamento sardo, un dato che rimane tuttora salvo ed impregiudicato, almeno con riferimento alle decisioni assembleari in tema di decadenza per incompatibilita' tra l'assolvimento del mandato parlamentare e di quello consiliare (cfr. T. Martines, Il consiglio regionale, Milano, 1981, pagg. 24 e 26-27). Ne' sarebbe opponibile a quanto svolto che nel caso della Regione Sardegna (cosi' come delle regioni nel loro insieme, sia ad autonomia ordinaria che ad autonomia speciale) farebbe difetto una disposizione costituzionale altrettanto esplicita quanto quella contenuta nell'art. 66, Cost., il cui tenore rende pacifica ed incontrovertibile la regola fondamentale della insindacabilita' in sede giudiziaria delle decisioni assunte dalle Camere del Parlamento relativamente, oltre che ai titoli di ammissione dei suoi componenti, alle cause sopraggiunte di ineleggibilita' e di incompatibilita'. Ed invero, occorre considerare che comunque cio' non puo' impedire il riconoscimento in capo al consiglio regionale di una siffatta guarentigia costituzionale, quando essa scaturisca - com'e' nella specie - in modo lineare ed automatico dal sistema, in virtu' di una piena convergenza di fattori normativi e di tradizione applicativa che ne testimoniano, appunto, la esistenza e la operativita'. D'altro canto, ne rappresenta riprova il fatto che non sarebbe neppure sufficiente, allo scopo di affermare una pretesa sussistenza di potere giurisdizionale in materia, richiamarsi - come tenta inutilmente di argomentare la sentenza in questione - al principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti. E' risaputo, infatti, che quando si tratti di fondare il potere giurisdizionale di emettere sentenze costitutive, ossia sentenze che abbiano la forza di modificare la preesistente situazione giuridica - come fa, nella sostanza, la sentenza impugnata in violazione dell'art. 101, Cost., in relazione all'art. 2908, c.c., che ridonda in lesione delle attribuzioni statutariamente riservate al consiglio - occorre che vi sia una specifica disposizione di legge attributiva al giudice di tale potere conformativo: ma di una simile attribuzione, come si e' detto, non vi e' traccia nell'ordinamento sardo. Sotto un diverso ma convergente profilo, si puo' altresi' eccepire che il tribunale abbia leso le competenze costituzionali del consiglio ricorrente - garantite dagli artt. 116, Cost., e 27, St. - per aver proceduto, in definitiva, alla disapplicazione delle disposizioni normative regionali regolanti la fattispecie (in primo luogo, la legge regionale n. 71/1979), sostituendovi l'art. 7, comma 6, della legge n. 154/1981. Ed invero - come ha avuto modo di precisare la Corte nella sentenza n. 285/1990 proprio in sede di conflitto di attribuzione tra Stato e regione - non e' consentito alle pronunzie giurisdizionali di disapplicare leggi regionali neppure in caso di dubbio in ordine alla loro legittimita' costituzionale, occorrendo all'uopo adire la Corte cui soltanto, e senza eccezione alcuna, e' rimesso tale sindacato. Senza voler qui dedurre impropriamente un error in iudicando a carico della sentenza di cui trattasi, vi e' da ritenere che venga integrata una fattispecie lesiva quale quella stigmatizzata dalla Corte nella rammentata occasione, anche nell'ipotesi in cui, pur non addivenendosi a perentorie dichiarazioni in ordine all'intendimento disapplicativo, la sentenza assuma l'obiettivo significato non gia' di mero errore sulle norme applicabili alla specie, ma di vero e proprio disconoscimento della naturale cogenza delle disposizioni regionali in vigore (cfr. sentenza, pag. 13, primo capoverso). 2. - A questa difesa e' noto, secondo quanto e' stato sopra ricordato, lo schema, che talvolta sembra adottato nelle pronunzie della Corte, del carattere pretesamente chiuso ed enumerato che avrebbero le garanzie di cui dispongono in via costituzionale le assemblee regionali. A riguardo - ferme restando le argomentazioni di cui al punto precedente, relative alla specifica ricostruzione dell'ordinamento costituzionale sardo - occorre nondimeno avanzare un duplice ordine di considerazioni. La prima considerazione e' che non sembra che tale schema, a parte ogni altra notazione critica, possa comunque escludere la operativita' in favore delle assemblee regionali di una guarentigia che - come quella di cui si parla, prescindendo dunque da altre ipotesi di autodichia, e segnatamente da quella concernente i rapporti con i dipendenti - costituisce un requisito minimo ed indispensabile ai fini della tutela degli organi rappresentativi da interferenze e condizionamenti esterni: e' indubitabile difatti che il sindacato giurisdizionale in materia di incompatibilita' sarebbe suscettibile di incidere in via diretta sulla composizione e sugli stessi interna corporis dell'organo assembleare. Detto in altre parole, nella tradizione costituzionale italiana quello che si trae dall'art. 66 della Costituzione e' un principio di natura istituzionale che, indipendentemente da apposite codificazioni, e' destinato ad assistere gli organi che, come i consigli regionali, siano qualificati dalla loro natura politico rappresentativa e dalla titolarita' di funzione legislativa e di indirizzo (dovendo restare ovviamente ininfluente, da questa angolazione, il dato puramente quantitativo, ma non qualitativo, della circoscritta efficacia territoriale dei relativi atti). D'altro canto, la Corte ha gia' mostrato di voler dare l'adeguato risalto al valore della tutela della autonomia e della indipendenza degli organi rappresentativi regionali, muovendo proprio da un criterio di parallelismo con la posizione del Parlamento e con i principi costituzionali, scritti o non scritti, che sono preordinati a presidiare detta posizione (cfr. tra le altre, sentenza n. 143 del 1968 in tema di sottrazione a riscontri esterni delle spese operate per il funzionamento del consiglio regionale; sentenza n. 382 del 1998, in tema di insindacabilita' dei consiglieri regionali anche al di la' degli atti tipici posti in essere; sentenza n. 392 deI 1999, in tema di autonomia contabile del consiglio rispetto alla giurisdizione della Corte dei conti, secondo il principio consuetudinario operante in materia per le assemblee parlamentari). Per di piu', e' da rimarcare che nel caso specifico della incompatibilita' tra la carica di consigliere e di parlamentare, si tratta di ipotesi che investe ad un tempo sia le Camere che le Assemblee regionali: sicche' - sempre per quanto riguarda tale fattispecie - sembra plausibile postulare che la materia richieda dal punto di vista costituzionale un trattamento giuridico omogeneo (ossia quello della insindacabilita' delle relative decisioni assembleari) e che tale omogeneita' sia voluta dal sistema, anche in considerazione delle possibili interferenze che nell'autonomia decisionale delle stesse Camere potrebbero derivare dal sindacato giurisdizionale sulle determinazioni regionali. A cio' si aggiunge l'incidenza che non puo' non avere sul tema in esame la riforma del Titolo V della Costituzione di cui alla legge cost. n. 3 del 2001 (applicabile nei sensi di cui all'art. 10 della legge medesima alle regioni a statuto speciale), assunta sia nella sua ratio complessiva, officializzata mediante le nuove formulazioni dell'art. 114 Cost., volta a rendere incontrovertibile la consistenza autenticamente politica dell'autonomia regionale e della funzione legislativa in cui essa si esprime in via prioritaria, sia negli specifici aspetti in cui la stessa si manifesta (l'inversione del criterio del riparto delle materie tra Stato e regioni, la caduta del controllo preventivo sulle leggi regionali, nonche' l'esclusione di una potenzialita' di condizionamento innominato da parte dell'interesse nazionale, ecc.). Si e' dunque in presenza di uno scenario costituzionale davanti al quale non suonerebbero piu' persuasivi i fattori a suo tempo addotti allo scopo di disconoscere talune prerogative a favore delle Assemblee regionali (cfr. l'antica sentenza n. 66/1964): cio' almeno con riguardo a quella fatta valere nel presente ricorso che - per quanto spiaccia ripetersi - tocca proprio l'essenza del ruolo assolto dagli organi rappresentativi regionali, naturalmente nella differenza dei compiti rispettivamente giocati nel complessivo sistema delle assemblee elettive in cui si articola il nostro attuale assetto istituzionale. Ne discende, pertanto, anche sotto tale aspetto la conferma della attribuzione costituzionale in via esclusiva ai consigli della guarentigia in tema di incompatibilita' racchiusa nell'art. 122 Cost., secondo l'interpretazione che e' resa ineludibile alla luce del nuovo assetto costituzionale. 3. - Vi e' inoltre da eccepire - sia pure in via subordinata rispetto ai motivi del ricorso sopra dedotti - una ulteriore lesione delle attribuzioni regionali, con specifico riferimento all'autonomia regolamentare del consiglio regionale della Sardegna quale risulta codificata dall'art. 19 dello statuto. Invero, e' da notare che il Tribunale di Cagliari, imponendo al consiglio di osservare la procedura di decadenza di cui alla legge n. 154 del 1981, ha leso le attribuzioni spettanti al medesimo consiglio in campo organizzativo (in forza, appunto, del menzionato art. 19 dello statuto, nonche' dei principi fondamentali che reggono il funzionamento degli organi rappresentativi): attribuzioni che si sono tradotte nella disciplina dettata sia dall'art. 17 del regolamento consiliare sia dall'art. 15 del regolamento della giunta delle elezioni (anch'esso approvato dal consiglio a maggioranza assoluta dei componenti). Disposizioni queste ultime che sotto il profilo procedimentale prevedono - diversamente da quanto prescritto dal giudice - che nei casi di incompatibilita' o ineleggibilita' riconosciuti alla unanimita' dalla giunta si possa prescindere dal procedimento di contestazione, il che e' conseguentemente avvenuto nel caso di specie. Ulteriormente lesivo appare l'atto giudiziario impugnato per aver negato che al consiglio regionale potesse competere un qualunque potere delibativo in ordine alla ricorrenza di ipotesi di incompatibilita' con la carica di parlamentare: e specificatamente che detta ponderazione fosse suscettibile di apprezzare l'effettivo esercizio da parte dell'interessato delle funzioni connesse alla carica di parlamentare nonche' la inequivoca opzione effettuata in tal guisa a favore dell'anzidetta carica (cfr. sentenza, pag. 11, ultimo capoverso, seconda parte). La regione, odierna ricorrente ritiene, difatti, che dalla regola costituzionale e statutaria che fissa la incompatibilita' tra la carica di consigliere e quella di parlamentare - unitamente agli elementari principi che elevano a valore costituzionale l'esigenza di funzionalita' dell'organo - derivi in capo al consiglio il potere di esprimersi sulla decadenza del consigliere; ossia valutando, ove se ne presenti il caso, il significato obiettivo - sempre e soltanto ai fini della integrazione della ipotesi di decadenza di cui si parla - dei suoi esteriori comportamenti istituzionali. A conferma di cio', e' appena il caso di precisare che sarebbe riduttivo risolvere la ratio del criterio costituzionale della incompatibilita' nell'ampliamento, sul piano soggettivo, del diritto di elettorato passivo (rispetto al diverso criterio della ineleggibilita); nella specie infatti opera anche un'istanza di protezione della funzionalita' dell'organo legislativo, posto il pregiudizio che a tale interesse costituzionale arrecherebbe la permanenza in carica di un consigliere che, a prescindere dalla ampiezza temporale della anomalia, debba (e si trovi ad) adempiere simultaneamente all'esercizio delle funzioni parlamentari.